Da dentro a fuori, da fuori a dentro

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Da dentro a fuori, da fuori a dentro.

Un scambio costante, un movimento che riporta alla fonte ciò che le appartiene.

Comprendo possa essere poco piacevole, a volte, ammettere a se stessi che ciò che gli altri suscitano in noi parla proprio di noi, ma se ampliano il punto di vista e allarghiamo lo sguardo forse riusciamo a fare un passo avanti, evitando di restare troppo a lungo agganciati a quel dito puntato verso l’altro che tanto piace al nostro ego, più occupato alla lotta che non all’armonia, più interessato alla ragione anziché alla comprensione,  più focalizzato alla separazione che non all’inclusione, non accorgendosi di quanto, nel suo tentativo di attuare una sorta di protezione, possa renderci schiavi, se preferite vittime o più semplicemente dipendenti dagli altri, perché se dobbiamo difenderci da qualcosa o qualcuno significa che ciò sta all’esterno detiene maggior potere di quanto ne possiamo avere noi.

Ma andiamo per gradi.

Al di là delle teorie, delle leggi, degli studi, vorrei che vi soffermaste per qualche secondo su tutte le volte che avete accusato qualcuno del vostro stato, di come vi sentivate, del vostro malessere, della vostra insoddisfazione e via così, chi più ne ha più ne metta, nessuno escluso, me compresa.

Ora se per caso, come è capitato a me, vi ritrovate ad avere almeno un’occasione in cui lo avete vissuto e sperimentato, passo alla prima domanda.

Cosa vi ha fatto scaturire quella determinata reazione? Cosa vi ha fatto arrabbiare, infastidire, rattristire, deludere e così via?

Lo so che sarebbe fantastico continuare a proiettare fuori ciò che vive dentro, sarebbe più semplice e in parte lo è, visto che trascorriamo la maggior parte del tempo ad accusarci invece di cercare soluzioni funzionali ed utili, ma è proprio qui che sta il passaggio con la successiva domanda d’obbligo.

Cosa c’è per me in questa situazione? Cosa devo guardare di me grazie a questo accadimento? Cosa mi sta offrendo questo evento? Cosa porta l’altro di me e per me?

Facciamo un esempio pratico.

Ipotizziamo che una persona mi abbia mancato di rispetto, a dirla tutta più che un’ipotesi è un dato di fatto e che questa sua mancanza di rispetto mi abbia fatto molto arrabbiare, scatenando tutte le mie ire e andando a richiamare il mio “giustiziere interiore” che a ragion veduta ha espresso le sue ragioni con una certa veemenza. Da questa sua sacrosanta manifestazione iniziale, ciò che ne segue è la facoltà di esercitare o meno il mio pieno potere, quello di cui tutti disponiamo ed è ciò a cui mi riferivo con le domande precedenti.

Posso scegliere di restare inchiodata con lo sguardo verso l’altro, continuando ad imputare a lui il mio dolore, fastidio o la mia delusione per quella mancanza di rispetto, oppure iniziare a focalizzarmi dentro di me, cogliendo l’opportunità, quella possibile, sempre e comunque, nel bene e nel male, proprio grazie alla relazione con l’altro e quando dico altro uso volutamente un termine ampio, perché l’altro può essere il compagno o la compagna, l’amica, l’amico, il capo, il padre, la madre, il figlio, la figlia, ma anche il sistema o chiunque sia in grado di stimolare una reazione interna sufficientemente intensa per la quale varrebbe la pena soffermarci un attimo.

Posso iniziare quindi, tornando sempre al mio esempio, a domandarmi in quali occasioni io manco di rispetto, magari proprio verso me stessa; posso chiedermi in che modo lo faccio. Può essere che io lo agisca in maniera differente, ma sempre di mancanza di rispetto si tratta. La disattenzione, la superficialità collegate a quella mancanza di rispetto pongono l’accento di quanto io le abbia agite verso di me, non ascoltandomi come avrei dovuto rispetto a ciò che ha valore per me.

In quest’ottica l’opportunità si amplia perché posso cogliere con più profondità anche valori ai quali non avevo prestato la giusta attenzione, qualcosa che mi riguarda da molto vicino e se lo riesco a fare è proprio grazie a quello che l’altro, a sua insaputa, mi ha generato ed ecco qui che lo sguardo cambia totalmente.

Dal dito puntato mi arriva un’altra immagine, decisamente più fluida, armonica e piacevole.

Le mie mani sono unite come in segno di preghiera e il mio corpo si china come a ringraziare chi mi ha portato a vedere aspetti che diversamente non avrei colto, riportando a me ciò che riguarda e parla di me e lasciando all’altro, attraverso la mia reazione iniziale, la sua opportunità…dipenderà da lui se coglierla o meno.

Come scrisse Rudolf Steiner: “Vedere sé nell’altro edifica mondi” e per quanto mi riguarda apre nuovi orizzonti.

Provate per credere!